LUNGA VITA!

DEATH IN JUNE + FIRE & ICE + FORSETI

London 21 May 2004

by Max Stridulum

Photo by Vanessa

Slimelight, London Islington, venerdì 21 maggio, ore 20:00 più o meno: io e la mia fidanzata abbiamo la dimostrazione pratica che se la fama di quelli puntuali ce l'hanno gli svizzeri e non gli inglesi ci deve pur essere un motivo, ed il concetto viene ulteriormente ribadito dal freddo e dal vento gelido che soffia per tutti i 20 minuti in cui siamo costretti a stare in fila davanti al portone dello Slimelight/Electrowerk, aspettando che una bionda virago decida di farci passare... iniziamo bene, penso io... ma alla fine l'albionico armadio con le tette pare capire che il momento è giunto, e quindi anche se infreddoliti sino al midollo facciamo il nostro baldanzoso ingresso nel locale.
Per fortuna l'attesa per l'evento vero e proprio (organizzato dall'abile esperienza dell'Hagshadow n.d. :A:) non dura molto di più, e dopo un distratto giretto tra un paio di banchetti di dischi è già l'ora di sistemarsi ben sotto al palco per l'inizio del concerto di FORSETI. La formazione è a tre, Andreas Ritter questa volta è infatti accompagnato da un gioviale (e bravissimo) violoncellista e dal cantante/chitarrista di Sonne Hagal, e l'inizio è subito pirotecnico: due brani tratti dal 10" 'Jenzig' scaldano l'audience in men che non si dica, e Forseti appare come un gruppo molto grintoso e dinamico; la chitarra di Andreas cavalca decisa su un potente tappeto di percussioni, mentre il violoncello ricama le coinvolgenti melodie che hanno reso celebre questo valido progetto tedesco. Le canzoni si susseguono senza pause, e c'è giusto il tempo per un breve intermezzo di due pezzi a firma Sonne Hagal, dove il titolare del progetto passa dal ruolo di percussionista a quello più usuale di cantante/chitarrista, per poi rituffarsi nelle atmosfere di 'Windzeit' e 'Jenzig', saccheggiati a piene mani e arricchiti da una notevole grinta live . Il concerto giunge al termine dopo una quarantina di minuti, ma il pubblico è in delirio e ne vuole ancora: i tre teutonici sono costretti ad un doppio bis, e nonostante le mie preghiere per una 'Black Jena' con Douglas P. ospite alla voce non siano state ascoltate, i due brani finali hanno confermato a pieni voti l'alta caratura dello spettacolo appena visto. Noi, esaltati e attoniti allo stesso tempo, ci siamo quindi guardati in faccia con un certo timore, consci del fatto che sarebbe stata ben dura anche per due gruppi come quelli successivi tenere testa ad uno show del genere... l'attesa per Fire+Ice aveva quindi qualcosa di spasmodico!

Il break precedente l'inizio del secondo concerto si protrae alla fine per una buona ventina di minuti, il pubblico freme e si domanda il perché di una pausa così lunga tra un gruppo e l'altro, ma la risposta arriva lampante quando i musicisti capitanati dal calvo Ian Read fanno il loro ingresso sul palco: trattasi infatti degli stessi Forseti, che dopo il loro show assolvono anche alla funzione di backing-band per il musico britannico! La notizia non può che venire accolta in maniera entusiastica dagli astanti ancora galvanizzati della performance dei tre tedeschi, che infatti si dimostrano ancora una volta all'altezza della situazione provvedendo a tessere un tappeto sonoro che la calma e potente voce di Ian Read ricama con i testi delle sue ben note ballate. Molti i brani proposti, su cui spiccano alcune canzoni tradizionali (come la bellissima 'the prickilie bush') mischiate ad altre più classiche del repertorio di Fire+Ice, tra le quali 'Dragons in the sunset' e 'Greyhead' sono il tributo pagato a 'Birdking' (che per chi scrive è il loro album migliore). Read è ascetico nella sua performance, come immerso completamente nel suo mondo, e di riflesso anche i contorni delle pareti dello Slimelight si fanno sfumati e assumono i toni caldi e fieri della musica, le storie di eroi e di dei emozionano e coinvolgono tutti e nelle prime file alcuni cantano a memoria i testi come se si trovassero in una vecchia taverna davanti a un gruppo di menestrelli. Dopo quaranta minuti abbondanti il concerto ha termine, ma come per Forseti nessuno ha intenzione di lasciar scappare facilmente il buon Ian e la sua compagnia: c'è il tempo allora per una 'Take my hand' con Douglas P. ospite alla chitarra, e per una 'Call up the four winds' che sancisce la fine dello spettacolo. "Tonight this was Fire+Ice. Go with the gods!" ci dice Ian Read scendendo dal palco, e i cinque minuti di applausi che lo accompagnano nel backstage sono la dimostrazione di quanto la sua musica sia stata apprezzata. E i brividi non sono ancora passati che già ci chiediamo, giunti a questo punto e dopo due spettacoli come questi, cosa aspettarci da Death In June... il pubblico continua a fremere, la tensione è alle stelle e l'aria delle grandi occasioni che già si respirava all'ingresso del locale ora diventa palpabile come la seta...

Il tempo continua a scorrere, ancora una pausa discretamente lunga in cui vediamo Douglas P. (aiutato dal solito Andreas Ritter in veste di roadie ) fare su e giù dal palco per sistemare gli strumenti, poi più nulla sino a quando la musica diffusa si interrompe e il sibilare dei fumogeni preannuncia l'atteso avvento di DEATH IN JUNE. L'inizio è quello a cui siamo stati abituati dagli ultimi concerti italiani, Douglas sale sul palco accompagnato dal solito John Murphy e subito si lancia in una potente e aggressiva versione di 'Death of a man', subito seguita dall'altro usuale apripista 'Till the living flesh is burned'. Ma c'è qualcosa di diverso rispetto al solito: l'impressione è che Douglas P. sia in qualche modo più carico, più aggressivo e motivato, e in qualche modo capiamo che questo non sarà un concerto normale per la Morte in Giugno... la conferma arriva puntualmente quando come terzo brano viene attaccata nientemeno che 'Heaven street', e la convinzione si rafforza ancora di più con perle come le successive '13 years of carrion', 'Because of him', 'Death is the martyr of beauty'. Incredibile, e per quanto mi riguarda assolutamente inaspettato. Il concerto continua e Douglas inizia a pescare a piene mani dall'ultimo 'All pigs must die', chiamando anche sul palco l'ormai onnipresente Andreas Ritter che proprio in quel disco aveva prestato il suo talento musicale: si susseguono quindi tutti i brani folk presenti nella prima parte dell'album, e un po' per la presenza di Ritter ad arricchirne il suono, un po' per la decisa grinta sfoderata da mr. Pearce (che forse per il fatto di essere di nuovo a Londra sentiva particolarmente il significato dei brani) anche queste canzoni, che per inciso su disco non mi avevano particolarmente entusiasmato, acquistano una potenza e un pathos notevoli, nemmeno lontanamente comparabile a quello espresso nei concerti italiani tempo addietro. 'The enemy within' dovrebbe chiudere lo show dopo circa un'ora di spettacolo, ma com'è ovvio il pubblico non ne ha assolutamente abbastanza: Death In June viene richiamato sul palco a letterale furor di popolo e la soddisfazione dei musicisti è tale che Douglas, imbracciando nuovamente la chitarra, ci chiede sorridendo "So, any requests?" . Da qui in poi è stato il delirio, annunciate da grida corali da parte dell'audience si sono potute ascoltare gemme come 'Giddy giddy carousel', 'Fall apart', 'Little black angel', 'Runes and men', 'Fields of rape', 'Rose clouds of holocaust' e una 'Death of the west' cantata a gran voce da tutti. Death in June scende nuovamente dal palco, ma il pubblico non è ancora soddisfatto, dopo un'ora e mezza di concerto ci vuole una chiusura ancora più memorabile, la pretendiamo! Passano almeno 5 minuti durante i quali gli applausi e le grida non si fermano nemmeno per un secondo, e alla fine la tenacia viene premiata: Douglas Pearce e John Murphy ritornano sul palco per la terza volta, ormai stremati dal caldo ma visibilmente compiaciuti, e prendono posto davanti ai tamburi. Doug sorride, e ci introduce l'ultimo pezzo così:

"Where is Bin Laden?
Where is Bin Laden?
He's in the heart...
...of the desert somewhere.
He's in the heart....
...of the Pentagon!"

E lo show si conclude quindi con una versione corale di 'C'est un reve', grandiosa e potente come dev'essere, con noi nelle prime file ormai sudati e stremati, ma estremamente soddisfatti. Un'altro nugolo di applausi accompagna i nostri nel backstage, ma questa volta non è per incitarli a tornare, quanto per mettere il sigillo definitivo su una serata impeccabile, incredibile, e davvero impossibile da dimenticare.

A Forseti, a Fire+Ice, alla Morte in Giugno: lunga vita!