A NIHILIST NEOFOLK SUICIDE POP NIGHT MADE IN ITALY AND UK

OSTARA – NAEVUS – SPIRITUAL FRONT – FORESTA DI FERRO

Londra – Slimelight, 11 settembre 2004

by 20maValeriaVictrix - Photo by Marco Wertham

Il treno che collega l'aeroporto di Stansted con il centro di Londra è comodo, affollato di turisti in vacanza ed inglesi al lavoro. Varia umanità fatta di zaini e valige, ventiquattrore e borsette della spesa. Il cielo è un misto di grigio e di azzurro, come nella migliore tradizione della terra di Albione, grigio come i muri incrostati di fuliggine sulle case degli slums che questo treno attraversa prima di approdare nella capitale, azzurro come il Lago di Costanza sorvolato solo poche ore prima, in un turbinio di nuvole di panna e cristalli ghiacciati ad incrostare il finestrino accanto al mio sedile.

E' un'emozione, come ogni viaggio, come sempre e più di sempre questa volta oltre la Manica.

Statue di Dalì a Waterloo, “Alice in Wonderland”, l'“Elefante spaziale” dai lunghi femori, gente di ogni razza, di corsa oppure oziosa, un sandwich tra le mani e l'immancabile bottiglietta di Evian, manager dalle maniche arrotolate che gareggiano a beach volley nel cuore della City, un tappeto di sabbia improvvisata tra l'acciaio e il cemento del centro del potere. Tutto può esser meraviglia, piccolo io elefante spaziale approdato della Terra che crea e distrugge le tendenze, nel tempo in cui una nuvola carica di pioggia attraversa la città…Vecchi amici accoglienti che si stringono per far spazio, trenini e tavolini in miniatura nella stanza invasa del bambino, la speziata cena indiana, le mug colme di thè e di caffè in piena notte accovacciati sulla morbida moquette a chiacchierare, il Pub dai legni intarsiati, le corse tra i labirinti della Metro, l'ombrello sempre in tasca ma che c'importa della pioggia, il Big Ben e la ricostruzione storica in Trafalgar Square della battaglia di Nelson in una notte di tempesta, satura di persone col naso all'insù. Chinatown protetta dai Dragoni e i conigli scuoiati che fan bella mostra di sé nelle vetrine dei ristoranti, il caos erudito di una casa da scapoli, la sontuosa Galleria di Dalì e poi ancora e sempre Soho, l'amore a prima vista, coi suoi locali a luci rosse, le incuranti coppiette che si tengono per mano finalmente senza vergogna, le librerie alternative rigorose di sopra e impudiche di sotto, i sexy shops affollati, la sinuosa drag-queen col vestito tigrato, l'orgogliosa bandiera iridata, i venditori al mercato con le maglie del Tottenham… Tutto è nato, nasce e muore qui, tutto è venduto, esportato e imitato. Mi fan sorridere il “Lambretta” e il “Vespa”, shops di culto per neo-mods dalle giacchine strizzate, i ragazzi italiani in cerca di fortuna col loro inglese dall'accento romano, i Tesco Market saccheggiati nel nome e le mille stravaganze di una metropoli che si permette un grattacielo dalla forma di missile (o di supposta?) e l'impiegato di banca con gli avambracci tatuati come un marinaio in cerca d'avventure. E il treno che ci porta fuori città, sotto un cielo di piombo che rende tutto più grigio, ci mostra panorami desolati di degrado urbano, ciminiere e vicoli sporchi pieni di pozzanghere perfetti per compiere macabri delitti impuniti, edifici anneriti dal tempo e dallo smog ove famiglie white-trash trascorrono la loro faticosa esistenza, storie di emarginazione senza possibilità di rivincita, di figli fatti per il bisogno di un sussidio, di violenza, di paura e di miseria affogata in pinte di birra a basso costo. Allora la Londra dove tutte le tendenze nascono e muoiono scompare, per lasciare spazio a un'Inghilterra dove tutto il mondo è paese e non sembra di essere nello squallido sobborgo di una qualsiasi grande città italiana solo per l'idioma con cui sono scritti i cartelli per strada. Perversamente mi affascina tutto questo grigiore, questa atmosfera suburbana mi intriga e mi colpisce al petto come un disco industrial ben composto, il fumo e il senso claustrofobico di un'esistenza malata senza possibilità di riscatto mi avvolge, come chiusa in un cunicolo dove non penetra né luce né speranza.

Pomeriggio di sabato 11 settembre. O meglio, 9/11. La data non è accidentale, qui niente è casuale. Era stato predisposto da tempo. Il giorno, i gruppi, il posto. Una sorta di “memorial day” non allineato. L'appuntamento è per le 16.

La fermata della Tube è “Angel”, il locale è lo Slimelight. Niente che lo indichi, ma il popolo della notte londinese lo conosce bene, punteranno senza indugio allo storico portone nero. Visto di giorno (è un modo di dire, dato che all'interno non filtra nessuna luce naturale) il posto fa impressione: un vecchio edificio mal tenuto, sporco, inabitabile e aspetto di vedermi schizzare tra i piedi qualche sovradimensionato topo impaurito. Una location “very industrial”, affascinante nel suo degrado, non mi stupisco affatto che sia un luogo di culto per un certo tipo di tendenza. Se di giorno fa impressione per la sua decadenza, di notte la farà per altri motivi.

Ad accoglierci l'organizzatrice del tutto, la vulcanica Gaya Donadio, alias Hagshadows, un'italiana fiera di esserlo che la storia della scena a Londra la fa e non la subisce. Uno alla volta i convocati arrivano tutti: gli Ostara al completo, i tre Naevus e Wertham oggi nelle vesti di Foresta di Ferro. Faticosamente, più tardi, arriveranno anche i nostri Spiritual Front. Convenevoli di rito e sound-check come da programma, la pizza e il locale da sistemare, c'è tanto da fare e quasi troppo poco tempo, ma si ride, si gioca, l'atmosfera è rilassata, in un misto d'inglese e d'italiano che fa sentire a casa. Alle 21.00, e anche meno, si aprono i battenti.

Pronti, partenza, via. Le luci cambiano la faccia allo Slime, non è più uno scantinato corrotto ma un palcoscenico dove tutti si possono sentire protagonisti, e pian piano il locale si riempie, si incontrano amici lasciati tempo addietro e persone d' oltre Manica che hanno macinato ore di viaggio per esserci stasera, nuove conoscenze entusiaste e italiani che un po' hanno nostalgia di casa. I primi ad esibirsi sono i Naevus , tre album alle spalle e tanta voglia di andare avanti. I pezzi sono tratti in ordine sparso dai loro lavori, Lloyd alla chitarra e voce, Joanne che si alterna tra fisarmonica, chitarra e tastiere e un bassista sempre attivo. Nella loro set list “Torn wheat leaked” in apertura, “Desert”, “Vision, Rushed”, “Sail away”, “Untold”, “No remember”. Al di là dei titoli e dei pezzi in sè, il gig si rivela troppo lungo e le influenze che ispirano la band (come Swans, Michael Gira e Death in June in primis) si sentono anche dal vivo. I Naevus sono giovani e devono ancora trovare una loro dimensione originale, troppo influenzati da sonorità che sanno di già sentito e li rendono, alla lunga, stancantemente prolissi. Buona invece l'idea di inserire la fisarmonica, che dà un tocco di gipsy molto accattivante a motivi che risulterebbero strutturalmente un po' noiosi.

Gli Ostara sono il secondo gruppo in programma. Formazione al completo, con un elemento nuovo di zecca, ex bassista dei Communards (wow, il “ragazzo” ha suonato con Jimmy Sommerville, il che ci commuove assai!). Scaletta ormai classica per Stu alla chitarra, Tim alla batteria e Richard alla voce e chitarra acustica: “Nightmer Machine”, “Bavaria” e lo sventolamento della bandiera a scacchi bianchi e azzurri, “Diva DeSade” e il suo immancabile frustino, “Overworld”, “ Rose of the world”… Contrariamente a quanto avvenne nei precedenti concerti a cui ho avuto modo di assistere, il video alle loro spalle è ben visibile, con tanto di scene erotiche e angeli caduti. Gli Ostara mostrano anche stavolta l'energia cui ormai ci hanno abituati, la voce di Richard non delude e Stu si diletta come sempre a giocare col pubblico, il suo berretto di lana ben calcato e le sue divertenti pose hip hop. La presenza live del basso irrobustisce ancora di più il suono di per sé già piuttosto potente nella virata rock dell'ultimo periodo, e ne guadagna anche l'impatto empatico col pubblico, dato che la presenza fisica del musicista permette di accantonare le critiche che non avevano risparmiato i live act degli Ostara riguardanti la scelta di avere un basso preregistrato.

Hanno preceduto Foresta di Ferro ma avrebbero meritato il posto d'onore della serata. Spiritual Front, in completo nero e cravatta bianca, dopo Vienna e l'HauRuck! Festival, si conferma come la più grande promessa mantenuta del panorama italiano. Non è neofolk, non è rock, non è blues, non è jazz ed è tutto questo messo insieme e ancora di più. Trascinanti, credo sia il termine più azzeccato per descriverli. Chi ha già avuto modo di assistere a un loro live con la band al completo, ha potuto apprezzare le capacità di comporre, arrangiare e suonare dal vivo di questa formazione romana dall'impatto potente, dai ritmi ora veloci ora malinconici,dalla peculiarità intensa di Simone Salvatori di stare sul palco, col suo modo confidenziale di interagire col pubblico, e l'assoluta preparazione tecnica di tutti i suoi elementi: Jak Puri alla chitarra, Stan Puri alla tastiera e Freddy alla batteria. E' successo ad Arceto, è successo a Vienna ed è accaduto anche stavolta a Londra: gli Spiritual Front hanno saputo portare il pubblico dove hanno voluto, nel loro modo speciale di fare Rock'n'Roll, batteria, tastiera, chitarre in perfetta sintonia. Simone sistema il suo microfono retrò, dietro di loro parte “Toro scatenato” e lo spettacolo ha inizio. “Autopsy of a love” solo piano e voce è emozionante ed intensa, “We could fail again”, “Soul gambler” hanno un'energia senza pari, a seguire “Song for the old man” (dallo split con gli Ordo), e una manciata di pezzi per il nuovo cd “Ragged bed” “The bastard angel” “No kisses on the mouth” (già nel 7” ma riarrangiata),“The shining circle” fino a una “Slave” che ci ha lasciati tutti assolutamente a bocca aperta per lo show di Simone impazzito che suona la chitarra. Non si può rimanere impassibili e anche i britannici dal proverbiale aplomb (che di solito prevede un pubblico sì appassionato ma piuttosto freddino) lasciano cadere i freni emozionali e si lanciano in applausi calorosi, visibilmente trascinati nel vortice dell'entusiasmo. Purtroppo nessun bis che umili ulteriormente gli altri musicisti, i tempi sono ristretti e sarà difficile, per chi segue, far dimenticare quanto appena ascoltato e vissuto.

Dopo aver armeggiato con mixer e minidisc, Marco Wertham e Richard Leviathan sono pronti, posizione marziale, per dar vita alle ombre che popolano la Foresta di Ferro . Disposizioni della direzione concedono loro solo 20 minuti di performance (!!!), 20 minuti che i due riescono a concentrare al meglio. Dopo l'intro a cura della Banda Jonica si apre il concerto vero e proprio “Bury me standing” e il pubblico che si era momentaneamente disperso nel locale, si raccoglie sotto il palco. FdF è un nome che circola con insistenza nel circuito industriale, a Londra ha già avuto modo di esibirsi in altre occasioni e accanto a gruppi d'eccezione, raccoglie detrazioni e consensi a seconda delle aspettative, può piacere oppure no ma di sicuro alimenta una certa curiosità. Forse è per la presenza, nel suo assetto, di nomi che hanno anche singolarmente un certo seguito (Levy e gli Ostara, Wertham e il suo progetto power electronics, John Murphy che non ha bisogno di presentazioni), forse è la sua concezione e la sua peculiare attitudine alla ricerca di temi, suoni e testi combinati in maniera ora disturbante ora accattivante, ma FdF calamita una particolare attenzione sia da parte del pubblico che da parte degli organizzatori. La cover di “Kshatrya”, che chiude la performance, è sempre uno dei pezzi più trascinanti, la prima parte fedele alla versione italiana degli Ain Soph, la seconda tradotta in inglese. Il video che accompagna e sottolinea il tutto è un succedersi di immagini forti, violente, disturbanti, un cut-up a tema coi testi dei pezzi, bombardamenti, guerre, vittime e carnefici, com'è nell'attitudine stessa di questo gruppo. Con una “Harmony of pen and sword” più che urlata, “On the marble cliffs” e con in più un piccolo assaggio di un nuovo pezzo non ancora inciso, il pubblico in sala apprezza (veri e propri fans venuti dal Portogallo e dalla Norvegia!) pur dimostrando una certa sorpresa (o perplessità) di fronte a quanto proposto live da Wertham e Leviathan. Credo che molti, (soprattutto tra coloro che hanno avuto modo di vedere le loro esibizioni in più di qualche frangente), si chiedano sempre perché escano dalla Foresta i pezzi più violenti e industriali, mentre rimangano solo solchi su un 7” brani come “Malavita”, “Senza amori né eroi”, “Sogni di piombo”, “Fronte S.Vittore” dove, tra i rumori creati da Murphy, si inseriscono i tratti zingareschi di Wertham, nelle note di violini malati e fisarmoniche rubate ai musicisti di strada. Purtroppo, come è accaduto più volte in passato, la resa live è penalizzata da una gamma di suoni dai volumi troppo contenuti per questo genere di performance. Tuttavia, a fine concerto, Wertham si dichiara soddisfatto e divertito, Richard ritiene che gli Ostara potevano rendere di più, i Naevus sono contenti mentre agli Spiritual conviene di stare zitti, perché la fetta più grossa della torta del gradimento spetta proprio a loro.

Stanchi ma soddisfatti possiamo ora goderci appieno la serata e gli amici, le tensioni pre-concerto sono definitivamente sciolte e dimenticate, lo Slimelight prende vita sotto i nostri occhi, i volumi schizzano a mille e la pista si riempie al ritmo dell'ebm più sfrenata. Tra una foto e l'altra, una roulette russa fatta con una pistola-accendino, un giro di birre e una stretta di mano, girovaghiamo tra le sale, senza méta e pieni di curiosità, il popolo alternativo di Londra è ancora oggi una sorta di leggenda metropolitana per chi viene da fuori. In un turbinio di gonne a crinolina, make-up che prevedono ore di sedute al trucco, bustini irrespirabili e centimetri di pelle ampiamente scoperti, tubicini fluorescenti al posto dei capelli, tacchi vertiginosi e vinile luccicante, decolté mozzafiato e piercing improbabili, il locale è quasi impraticabile, tre sale per ogni gusto e tutte rigorosamente assiepate di persone e personaggi che non è dato di vedere in altre situazioni se non queste, nelle notti di una Londra affascinate sì qui dentro, ma assai più intrigante là fuori, qualche fermata di metropolitana più in là, tra i vicoli di una Soho senza pudori, reale, vera nella sua trasgressione, che non ha bisogno del trucco e del vestito del sabato sera ma si mostra così, con le sue grazie al vento, sia di giorno che di notte.

E' lunedì. Abbiamo passato indenni e felici questo anniversario, l'11 settembre. Le valige pronte, piene di noi e di chi abbiamo incontrato, i documenti alla mano, l'ultima metro con l'amico del giorno dell'arriverderci, il biglietto del ritorno, il treno per Stansted, il freddo, la pioggia, il vento, l'ombrello rovesciato…